Amazon dà più lavoro di tutti. Ma è un bene?
In America, Amazon si avvia a diventare il principale fornitore di lavoro nel settore privato. Oggi dà lavoro a più di un milione di persone, e nei prossimi anni di questo passo supererà Walmart. In Italia, ha più di 14.000 dipendenti diretti e più di 15.000 stipendiati dai corrieri che lavorano in subappalto.
Un pezzo di Italian Tech racconta come quella di Bezos sia l’azienda che ha creato più posti di lavoro in Italia, negli ultimi dieci anni. Come spiega un sindacalista intervistato da Andrea Nepori nell’articolo, “Amazon non è il diavolo e non è l’acqua santa”.
Le condizioni di lavoro, soprattutto in America, sono state spesso oggetto di critiche (celebri i racconti di alcuni autisti costretti a fare pipì nelle bottiglie, per rispettare i tempi di consegna, ma anche l’elevato tasso di infortuni e di turn over dell’azienda), ma è indubbio che la società fornisca opportunità dove latitano, con stipendi dignitosi.
Concentrarsi però solo su posti di lavoro e salari rischia di far perdere di vista il reale impatto complessivo dell’azienda. Che va molto oltre. Vox, con un titolo, dice tutto. “The Amazonification of the American workforce”.
La forza lavoro, negli Usa, si sta “amazonificando”, nel settore della logistica e non solo. Perché? Perché un’azienda innovativa, “spregiudicata” e irrequieta come Amazon, detta la linea a cui tutti gli altri si devono conformare, se non vogliono soccombere.
In termini di introduzione dei robot in fabbrica e di gestione taylorista (e fordista) del rapporto uomo-macchina. Di ritmi di lavoro e di rapporti coi fornitori.
"Ho combattuto in Iraq e Afghanistan ed essere al fronte era meglio che [l'ansia di] lavorare per Amazon", secondo Ted Johnson, un veterano militare intervistato da Recode nell'estate del 2021.
La sua attività gestiva più di 2 milioni di consegne, prima di dover chiudere quando Amazon non ha rinnovato il suo contratto senza dare alcuna spiegazione (cosa che legalmente non era tenuta a fare).
Ancor più inquietante del potere che l’azienda ha sui fornitori, è il binomio dati-sorveglianza del modello Amazon. Per potere ottimizzare in versione taylorista e fordista i processi lavorativi, l’azienda ha bisogno di poter attingere a enormi quantità di dati. Per poter avere questi dati, deve tenere costantemente monitorati i dipendenti.
Nei magazzini, i ritmi di lavoro vengono scanditi dagli scanner portatili; in futuro i lavoratori potrebbero dover indossare dei braccialetti che vibrano e forniscono indicazioni su dove spostarsi. Sui camion, gli autisti devono installare delle videocamere che controllano se l’autista tiene sempre gli occhi sulla strada, se è distratto, se ha sbadigliato e via dicendo.
Come accennato, Amazon, grazie al suo impatto e all’efficienza (nonché, ai redditi che genera per gli azionisti), detta la linea. Ed è inquietante pensare che questo modello di continuo tracciamento possa estendersi. Più aumenta il peso dell’azienda nell’economia, e cresce anche la capacità di lobbying nei confronti delle istituzioni, più è probabile che questo accada.
p.s.
Non credo che si arriverà mai (spero), alla situazione descritta nel romanzo The Warehouse, ma se vi capita, leggetevelo.